Mi piace prendere ad esempio il lavoro dell’orologiaio, come pure quello del giardiniere: penso che il progetto architettonico dell’orologiaio sia rigoroso e virtuoso, miri a risultati precisi e possa essere svolto in qualsiasi momento avendo a disposizione gli attrezzi adeguati. Il giardiniere crea le condizioni, prepara il terreno, aspetta il momento adeguato, getta semi per una fioritura che spesso ha direzioni imprevedibili, assiste al processo e ne accetta i risultati qualsiasi essi siano. Quando propongo il lavoro sull’arte poetica del movimento, credo nella relazione con il proprio corpo danzante sensuale e consenziente (sempre attento ai sensi e al proprio accadere, al proprio semplice cadere sulla terra, da dove poggia ogni movimento); mi sento vicino al giardiniere, che porta una sapienza istintiva e in diretto contatto con la natura, ma non dimentico l’orologiaio per la sua razionalità e progettualità. In fondo è una questione di tendenze e non di assoluti. Il danzatore, come il musicista, deve unire il lato immaginativo al lato matematico e architettonico nello spazio e nel tempo.
Alcune forme di danza mirano alla costruzione di un corpo codificato, con l’obbiettivo di farne un corpo estremamente abile, spesso uno strumento scollegato alla presenza sensuale e sensibile, rigido e non credibile; spesso operando trasformazioni precise e strutturali nel corpo del danzatore, addestrandolo a modificare la propria natura senza curarsi dell’aspetto più importante, aderire alla propria natura organica.
Ciò che tento, è dare consapevolezza su ciò che portiamo e come ci con/portiamo, sulla capacità di accorgersi dei nostri movimenti in un percorso sensuale e sensato a partire dal quale il corpo possa destinarsi in sequenze di movimenti rispondenti all’essere di quel momento, in cui si compie l’attuarsi della danza.